Viaggio in India
- Verso di Noi
- 7 mag 2022
- Tempo di lettura: 8 min

10 Febbraio 2020 Secondo giorno a Varanasi
Oggi è il mio secondo giorno a Varanasi e il mio secondo giorno in India. Insieme a Maichol ho deciso di intraprendere questo viaggio letteralmente da pazzi. Non ho mai trovato un blog su internet o qualche viaggiatore occidentale che mostri la realtà di questa città come l’abbiamo vista noi oggi. È la città più sacra e antica del mondo e ha 4 nomi Varanasi, Kashi, Benares e un altro che non ricordo perché di queste giornate ho da ricordare già troppe cose. Arriviamo ieri a Delhi con un volo da Milano. Sull’ aereo ci saranno stati si e no 10 italiani, il resto delle persone erano tutte indiane. Durante il volo tutti si alzavano e parlavano con tutti, cosa che su un volo occidentale non ho mai visto. Un ragazzo italiano che viaggiava da solo ha avuto i calcoli renali e l’ hanno messo sdraiato nei posti dietro a noi, mentre metà dell’aereo si occupava di lui come se tutti fossero medici esperti anche se nessuno lo era. Io li ho regalato l’ unica medicina omeopatica che avevo con me sperando che gli servisse a qualcosa e cercando di tenergli un po’ compagnia chiedendogli come stava. Poi siamo arrivati a Delhi e in 45 minuti dovevamo prendere l’ aereo per Varanasi passando per il controllo passaporti, il controllo bagagli e arrivare al gate. Abbiamo saltato file infinite di indiani che ci insultavano mentre un ragazzo cicciottello che parlava inglese ci aiutava a infilarci sotto le transenne per arrivare presto ai controlli. Poi, non so come, di corsa siamo arrivati al gate e ce l’ abbiamo fatta. Dopo un’ ora e mezza eravamo nell’aeroporto di Varanasi. Usciamo e ci sembrava di essere su un altro pianeta. Cani randagi ovunque, un casino bestiale tra i clacson e la gente che urlava, mentre tutti ci guardavano e cercavano il miglior modo per convincerci a prendere un taxi. Alla fine ci ha convinto solo un ragazzo con il tuktuk che per 400 rupie(sì e no 4€ anche se oggi abbiamo scoperto che è stato carissimo) ci ha portato in centro città a circa un’ ora e mezza di viaggio. Non scorderò mai quel viaggio, le strade di Varanasi dove non esiste un codice stradale, ma si va di clacson pregando di arrivare a destinazione. In strada ci sono alcune bancarelle, biciclette, macchine, carretti, mucche, cani, tuktuk, bambini e adulti ammassati e ci si spinge per superarsi in modi che per un italiano non sono comprensibili. Ai lati delle strade le case distrutte delle persone che vivono lì in povertà estrema, i bambini che giocano nudi con i tubi rotti da cui esce l’ acqua e di fianco al tuktuk mille moto che ci superano con anche quattro persone sopra, mentre le donne con il sari stanno sedute di traverso. Siamo scioccati, non avremmo mai pensato di arrivare nella città più sacra del mondo e di vedere questo. L’autista ci scarica vicino al nostro Ghat (più o meno) la zona sulla riva del Gange dove si trova il nostro ostello. Camminiamo dispersi per dei vicoli larghi un metro in cui passano mucche, capre, cani, bambini, vecchi scalzi e donne vestite con abiti coloratissimi mentre cerchiamo in un qualche modo di capire dove ci troviamo, ma è impossibile. Abbiamo un po’ di paura che sia pericoloso, ma le persone ci guardano e basta e non dicono niente. Alla fine troviamo il nostro ostello, devo dire molto carino tutto sommato. Usciamo di nuovo e facciamo una passeggiata scioccante lungo i Ghat, ma siamo troppo stanchi per commentare. “Domani chiamiamo la guida indiana che ci ha suggerito Nicole” dico a Maichol che annuisce.
Ci svegliamo dopo 11 ore di sonno per riprenderci dal lunghissimo viaggio mentre facciamo colazione su una terrazza sul Gange. “Prendete questa fionda e se arrivano le scimmie a rubare qualcosa minacciatele” ci suggerisce il cameriere mentre guardo i babbuini che giocano sull’ albero tra i pappagalli e gli scoiattoli. Finiamo di mangiare e incontriamo Ciento e suo fratello Rohin, un giovane ragazzo nato e vissuto a Varanasi, ma come dice lui “figlio dell’universo”. Rohin ci accompagna ovunque in giro per Varanasi. Subito siamo un po’ a disagio perché non lo conosciamo, ma diventiamo presto amici. Passiamo sui Ghat e ci spiega ogni cosa, dai Sadhu che pregano e vivono in rinuncia, anche se a detta sua di veri rinuncianti ce ne sono solo due o tre, uno che fa la pipì una volta alle 5 del mattino e poi medita tutto il giorno senza mai alzarsi e ogni tanto si fuma un po’ di chylum per connettersi con Shiva, l’ altro che vive dietro a Manikarnika Ghat, il posto in cui bruciano i cadaveri, in un piccolo tempio nascosto tra la paglia dove esiste un fuoco che tengono che non si spegne da 3500 anni. Questo Sadhu pratica la magia nera e aiuta le anime dei morti a trapassare, per cui vive di rinuncia e meditazione, insieme ad un cucciolo di cane a cui dà da mangiare e praticando rituali estremi, tra cui quello di mangiare anche delle parti dei cadaveri che bruciano.
Camminiamo per i Ghat tra gli incantatori di serpenti senza veleno che sono solo per i turisti e i mille ragazzi che ci chiedono se vogliamo fare un giro in barca. ” I serpenti restano senza veleno solo per sei mesi, poi mordono il padrone e lo uccidono se si riprova a toglierlo” dice Rohin. ” Quindi cosa fanno ? Li uccidono?” Chiedo io ingenuamente. “No, il serpente è il collare di Shiva, non li uccidiamo, ma li liberiamo nelle campagne”. Poi parliamo un po’ della Baghavad Gita, di Brahma, Shiva, Vishnu e altri mentre camminiamo fino al Manikarnika Ghat dove bruciano i cadaveri. Entriamo e vedo un uomo che sta bruciando, ormai la testa non c’è più, si vedono solo le gambe che sembrano la cera di una candela e i piedi rossi. Ci passo davanti e poi ne vedo altri due o tre, mente uno lo stanno caricando. Non c’è odore di cadavere perché prima di bruciarli li cospargono con delle ceneri profumate. Poi li gettano nel Gange, mente i loro parenti devono tagliarsi i capelli per poter eseguire questa cerimonia, anche se a quelli della casta dei brahmini viene lasciato un ciuffetto più lungo. Anche il crematorio è diviso in caste, quelle più basse bruciano in basso, quelle più alte in alto.
Ci fermiamo a bere un buonissimo Chai offerto da Rohin, oggi ne avrò bevuti 6. Poi continuiamo a passeggiare. Arriviamo in un tempio dove ci sono le tombe che racchiudono le salme di 5 Guruji morti in Samadhi, cioè durante la meditazione in modo consapevole. Se si medita lì loro ascoltano e sentono perché io loro corpo è come se fosse ancora vivo. Sarebbero come in occidente si intendono i santi. Poi andiamo nella moschea dei musulmani nella Varanasi antica dove i turisti non mettono piede perché probabilmente non saprebbero nemmeno come arrivarci.
Le strade sono sporchissime ma affascinanti, mentre il profumo dell’ incenso, di spezia e della merda di vacca ricopre le strade. I vicoli si fanno sempre più piccoli fino a che non arriviamo in un tempio in cui ci sono solo indiani. Entriamo con una collana di fiori e dei braccialetti per farci benedire. “Ho pagato un monaco per farmi colpire con un bastone e farmi uscire le energie negative”, mi dice Maichol mentre io ero stata a farmi benedire con Rohin. ” Se vuoi prendo un bastone e ti benedico ogni giorno” gli dico scherzando. Poi conosco una signora e la sua bambina neonata che mi viene in braccio e mi guarda come se non avesse mai visto un’ occidentale, perché probabilmente è così. Proseguiamo tra vicoli fino ad arrivare alla strada principale dove migliaia di persone camminano e guidano. Non so come facciamo a non venire investiti, ma arriviamo al ristorante e ci riposiamo un attimo per mangiare.
Poi riprendiamo il tuk tuk con Rohin che ci porta nel quartiere musulmano dove tessono tutti i sari e le sciarpe in tutti i tessuti. Un ragazzo di nome Assis ci porta in tutte le case a farci vedere come li fanno, in un modo che da noi non esiste più da almeno 150 anni. Poi entriamo nella soffitta di una casa che in realtà è un negozio e ci sediamo su una specie di materasso scalzi mentre una giovane venditrice ci mostra splendide sciarpe, tappeti e ogni tipo di cosa che sia possibile tessere. Compro una bellissima sciarpa in seta verde per ricordarmi di questa giornata. Poi torniamo in ostello qualche ora a riposare.
“Questi indiani sono pazzi a vivere così! Mi sembra di non capire più niente! Sono stanchissima!” dico a Maichol. ” Anche io, vado in terrazza a fumare una sigaretta!” Risponde lui. Lo raggiungo mentre sento un po’ di casino dal tetto. ” Cazzo la scimmia mi ha rubato le sigarette ed è scappata!” mi dice scocciato mentre lei si apre il pacchetto su un ramo dell’albero a un metro da noi e tira fuori le sigarette, le annusa e le getta via. “Ora la chiamo qui!” Pensa Maichol, ma la scimmia ci vuole attaccare. Il ragazzo dell’ostello la minaccia con un bastone e lei torna sul suo albero. “Basta ora mi riposo, tra poco ci incontriamo con Rohin di nuovo”.
Incontriamo il nostro nuovo amico che ci presenta un ragazzo che ci porta in barca lungo il sacro Gange per poi assistere alla Puja della sera nel Ghat dove è morto Hanuman. “Qui non ci sono coccodrilli?” Chiedo. “Shiva ha benedetto Varanasi e una volta i coccodrilli sono arrivati e hanno mangiato un uccello, così Shiva li ha resi ciechi e per evitare questo non si avvicinano più!” Ci racconta. Poi ci fa remare un po’, anche se gli chiedo presto il cambio perché è faticosissimo. Assistiamo al tramonto e alla Puja serale dalla barca, gettando nel sacro Gange la collana di fiori benedetta al mattino. Medito un po’ e mi sento diversa, come se tutta la confusione della giornata avesse un senso. Sento che questa città così sporca e mal ridotta mi apre il cuore e ha qualcosa che non è possibile trovare in nessuna altra parte del mondo. È come se l’ assurdità del modo di vivere della sua gente coprisse l’ essenza di ciò che è davvero, un dono, un omaggio alla vera essenza di ciò che siamo.
Aspettiamo Rohin dopo la Puja seduti su un tappetino a bere del chai a 10 rupie (circa 10 centesimi per i non indiani) con Roger, un amico di Rohin che appartiene ad una casta media e che ci racconta alcune cose su di lui. Il ragazzo del chai ci offre una seconda bevuta e un po’ di fumo e ogni tipo di droga ma rifiutiamo, a parte il chai. “A questo giro siete miei ospiti!”. Poi arriva una sfilza di cani randagi a chiedergli cibo, mentre lui apre 10 pacchetti di biscotti e li lancia a terra. Qui tutti proteggono gli animali, dai cani alle capre, alle mucche che sono sacre e non esiste che muoiano di fame. Spesso per le strade si vedono dei teli apposta per i cani che vi dormono sopra super rilassati. Se hanno sete bevono l’ acqua del sacro Gange, se hanno freddo vanno nei templi o a Manikarnika Ghat dalle pire. La giornata sembra finita eppure non lo è.
“Rieccomi, lui è Chris dall’ Inghilterra” ci dice Rohin indicandoci un ragazzo inglese che è con lui. Il nostro amico indiano ci porta al tempio di Shiva di fianco a Manikarnika Ghat dove fanno una Puja per solo induisti. Non c è neanche una donna e nessun turista. I ragazzi iniziano a suonare tamburi e campane come pazzi mentre Babaji prepara il rituale. Suonano fortissimo mentre io chiudo gli occhi e medito sentendo una magia che mi scorre nelle vene che è qualcosa di speciale. Mi sembra di esserci senza esserci più. È qualcosa di magico. I ragazzi iniziano a cantare urlando mentre non sento più niente a causa dei tamburi che ora hanno smesso. Qualche bhajan lo conosco e lo canto. I topi e i ragni giocano nel tempio mentre qualche cane entra tentando di mangiarsi le offerte. Sembra di essere un’unica anima che ringrazia per ciò che è, come direbbero loro è come lasciare sciogliere il proprio Atman in Brahma e ringraziare Shiva.
Torniamo in ostello dopo aver salutato il nostro nuovo amico, insieme ai suoi amici, che ora sono anche nostri e dopo aver bevuto l’ ultimo chai della giornata.
Andiamo a letto stanchi, dopo esserci fatti una doccia che ha tolto dalla nostra pelle lurida una polvere nera e i segni sacri che un monaco ci aveva fatto durante la Puja. Non sono mai stata così sporca. Non sono mai stata così viva.
Non dimenticherò mai questa incredibile giornata passata nella magnifica città del signore Shiva. Om Namah Shivaya.
di Chiara Fantini
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